20 gennaio 2019 – II domenica "C" - Is 62,1-5; 1 Co 12, 4-11; Gv 2, 1-11 - Abbazia di Vitorchiano

O M E L I A

Tutti possono parlare per immagini. La prerogativa del poeta o del mistico è di saper mescolare le immagini in maniera ammirevolmente evocatrice. Nel Nuovo Testamento si parla della Chiesa come di una costruzione e nello stesso tempo come di un corpo vivente. Cosi’ faceva già Isaia (o, se preferite, il Deutero-Isaia), il grande Profeta dell’Antico Testamento, nel testo che abbiamo avuto come prima lettura. Rivolgendosi a Gerusalemme, le parla come ad una sposa : « Nessuno ti chiamerà più ‘Abbandonata’ ma ti chiameranno ‘Mia preferita’, perché il Signore ripone in te il suo compiacimento…Come un giovane sposa una fanciulla, Colui che ti ha costruita ti sposerà. »

 

Era l’epoca d’oro di Israele, l’epoca del grande amore con Dio. Un amore che Israele tradiva certamente spesso ; ma che Dio sapeva sempre ristabilire, nella sua grande tenerezza e misericordia.

« Non hanno più vino ». Quando l’Evangelista Giovanni mette queste parole in bocca alla Madre di Gesù, nel racconto simbolico e poetico delle nozze di Cana, e quando pone nella casa in cui si celebrano le nozze sei giare di pietra destinate alle abluzioni rituali, ma vuote, esprime in realtà un giudizio molto severo sullo stato in cui si trovava la religione ebraica alla venuta del Messia. Mancava l’amore. L’amore era stato gradualmente rimpiazzato da riti freddi e aridi, che non producevano più alcun effetto.

Gesù porta di nuovo la gioia delle nozze e dell’amore. Vuole che i suoi discepoli abbiano il cuore in festa. – e con seicento litri di buon vino, c’è di che stare allegri ! Questo primo « segno » offre la chiave interpretativa per tutti gli altri che seguiranno, fino al segno supremo della morte e della resurrezione. Sarà quella l’ora di Gesù. Ma quell’« ora » non è ancora venuta, come risponde Gesù a sua Madre.

Può sorprendere che l’Evangelista Giovanni non la chiami col suo nome, lui che è cosi’ vicino a Maria. Dice soltanto che « la Madre di Gesù era là ». Gesù si rivolge a lei dicendole « donna » ; espressione che annuncia già la donna per eccellenza che, forte, starà in piedi vicino alla croce, e che rivedremo coronata di dodici stelle alla fine dell’Apocalisse. Essa annuncia le vere nozze, tra Gesù e la sua Chiesa, il nuovo Israele.

Alle nozze della Chiesa e di Cristo, accade pure abbastanza spesso che manchi il vino. La festa si trasforma allora in dispute e divisioni – quelle divisioni che ci vengono dolorosamente ricordate durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che abbiamo iniziato pochi giorni fa. Maria è allora la donna sensibile e sensata che si rende conto prima di tutti gli altri di ciò che sta succedendo. Dice ancora: «Non hanno più vino – cioè non hanno più amore».

Molte belle cose sono state dette e scritte sull’Unità dei Cristiani e sulle vie di ritorno verso l’Unità spezzata. Si fanno incontri per conoscersi e spiegarsi reciprocamente i rispettivi punti di vista. Si arriva talvolta a una dichiarazione comune. Tutto questo è buono e necessario. Accade che insieme ci mostriamo buoni, ad occuparci di popoli sinistrati. Tutto ciò è bene. Ma l’unità non sarà totalmente ristabilita se non quando ci renderemo conto che i pozzi a cui cerchiamo di bere sono asciutti (« non hanno più vino ») e quando ci lasceremo inebriare tutti insieme dalla gioia del messaggio di Gesù e impareremo di nuovo ad amarci vicendevolmente – non malgrado le nostre differenze, ma nella bellezza e ricchezza delle nostre differenze.

E’ allora che si riverserà in pienezza su tutte le nostre Chiese e Confessioni cristiane tutta la ricchezza del « regalo di nozze » che sono i doni dello Spirito. Riconoscere già la presenza e l’azione di questi doni in ciascuna delle famiglie di Cristiani è il miglior modo di aprirsi all’amore reciproco.

Armand VEILLEUX